Dal 15 al 30 Aprile 2017 espongono

Della Scala Lucia, Marubbi Alberto e Momentè Mirella.

RECENSIONE

La galleria d’arte “La Spadarina”, strada Agazzana 14, Piacenza, di Rosario Scrivano, ha sempre perseguito una politica culturale ed una strategia artistica mirate. Infatti espongono sempre artisti affermati a livello nazionale come il trio protagonista della collettiva allestita fino al 30 aprile 2017. Si tratta della pittrice Lucia Della Scala di Massa e del fotografo Alberto Marubbi e delle opere – quasi una piccola antologica – della pittrice veronese Mirella Momentè (1944-2011).

Della Scala da anni lavora su un’ipotesi figurativa semplice, ricca però di implicazioni interiori e di risonanze mistiche anzi misticheggianti. Un tempo gli artisti erano stretti collaboratori – interpreti in gran parte dei casi – delle posizioni di dotti teologi. Oggi invece gli artisti che trattano temi religiosi lo fanno in assoluta autonomia, assecondando solo la loro sensibilità. I dipinti di Della Scala cercano invece la riflessione spontanea, una religiosità popolare, un misticismo sentito e genuino. L’iconografia proposta da Della Scala forse è schematica, ma il messaggio è chiaro ed i contenuti facilmente leggibili in tutte le tele. Ma la religiosità serve forse all’autrice come trampolino di lancio o, viceversa, come punto di arrivo per tutti coloro che cercano nell’esperienza quotidiana un sollievo ed una giustificazione rivendicando solo il necessario. Se accettiamo la considerazione della religione in Della Scala come chiave di lettura e motivo propulsore per una conquista sociale ed esistenziale, non sbagliamo di molto (Uomo in preghiera). Infatti le tele – in gran parte acrilici, alcune ad olio, altre tempera all’uovo su tavola – ribadiscono le finalità etico-morali (La coppia, il calice; Il cielo per la vita) che l’arte dovrebbe oggi avere. E che, una volta dimostrata la fondatezza di quelle convinzioni, gli spaccati e le situazioni sociali sono visti sotto un’altra prospettiva (Passi verso la libertà). Anche la natura acquista un’altra prospettiva, si pone su un’altra dimensione ben oltre il precario quotidiano (Meteore; Alba e tramonto in un abbraccio). E il cattolicesimo può divenire la quintessenza del nostro vivere (Riunione degli opposti), una spiritualità intensa e continua (Gocce; Amore creazione).

Le foto di Marubbi sono un’originalissima combinazione di mixed-media soprattutto digitali e, solitamente, avvicinano due diversi contesti. Da un lato troviamo sempre il contesto di riferimento in bianco-nero per coinvolgere l’osservatore, per creare accattivanti episodi poiché il bianco e nero trasmette sensazioni più forti, immagini più definite e più coerenti. L’innesto del colore su questo supporto genera un particolare dinamismo, produce un’energia catartica, stimola non solo a guardare ma a vedere oltre il soggetto. Notevole il contributo di Marubbi alla disciplina perché suggerisce una nuova strada, non descrive perché altrimenti sarebbe un fotoreporter, indica invece nuove applicazioni legate nel frangente al bicromatismo. Fotografare, etimologicamente, significa “scrivere con o nella luce”: qui Marubbi compone con i colori anzi con la luce di uno o più colori. Ci sembra che abbia anche compreso il valore del tempo di attesa, di ripresa, di riporto o quello – più generico – della memoria. Questo perché il tempo nella fotografia scandisce tutto, dallo scatto iniziale alla resa intermedia alla trasmissione del prodotto finale ad un pubblico sempre più agguerrito e sempre più critico. Marubbi ci dice fra le righe – anzi fra le foto – che il buon fotografo cerca sempre al di là di sé stesso e del proprio intorno assecondando una silenziosa “musica visiva”. Alcune foto di paesaggi ci ricordano che il mestiere del fotografo sta a mezzo fra intuizione, preveggenza e casualità: l’intuito è preliminare, serve però confrontarsi con la realtà cogliendone sempre – ecco il significato della preveggenza – lo spunto “miracoloso” e producente. Infine bisogna affidarsi, come del resto in tutte le attività creative, al caso che ineffabilmente governa il nostro mondo. Infine Marubbi fornisce anche un surplus culturale e conoscitivo perché in fondo noi vediamo – fuor di metafora fotografiamo – quello che il nostro intelletto conosce. E qui subentra il fattore tecnico, la ricchezza di opportunità che ci viene offerta dall’universo digitale e che ci aiuta a sorpassare quel pregiudizio per cui la fotografia ritrae solo soggetti assenti. Invero quelli isolati da Marubbi sono dei classici, degli eterni presenti, luoghi ma anche loghi della nostra mente.

Infine le opere di Momentè dimostrano una padronanza straordinaria della tecnica – mista in questo caso – e soprattutto dei colori capaci di creare un universo fantastico. Anzi eccentrico e visionario, alternativo alla normale percezione e così facendo Momentè ha coronato la mission dell’artista contemporaneo. Il quale deve creare un mondo radicalmente parallelo, congegnare una realtà surreale e aprire un altro squarcio conoscitivo.

Forse la lezione di Momentè non è stata compresa, forse avrebbe potuto fare o dire di più, forse non lo sappiamo e non lo sapremo mai con esattezza. Comunque è stata una grande pittrice, si vede e si intuisce dalla sicurezza e dalla eccentrica armonia che trasmettono le sue opere. Nel suo caso basta l’uso disinvolto del colore e l’organicità strutturale delle opere cioè quel misto indifferenziato di materiale naturale che contraddistingue tutta la sua produzione. Per Momentè la pittura era un crepitante caleidoscopio di colori, una vitale sovrapposizione ed intersezione di colori, una declinazione sintetica della circostante complessità

I colori sono essenze naturali per cui irrigidirli e/o inquadrarli in qualche griglia razionale è sempre più difficile. Devono espandersi fisicamente dapprima e poi soprattutto visivamente e per contrasto differenziarsi nel contesto cromatico generale. Forse la vita e l’arte sono lì, in quel grumo di colori.

              Fabio Bianchi