Dal 19 Maggio al 2 Giugno 2013 espongono

Archilli Luigi, De Macchi Franco, De Macchi Piero, Lei Gian Carlo e  Remondini Paolo.

RECENSIONE

Nella pittura del piacentino Luigi Archilli prevale l’approccio tradizionale, un pacato vedutismo capace di esaltare la poesia delle piccole cose. L’arte è questione di sentimenti e stati d’animo, talora la veemente ispirazione limita creatività e innovazione anzi le circoscrive in territori già noti. Ma se un pittore come Archilli ci mette passione, raggiunge ugualmente alta qualità evidente nella serie “Cavalli”.

L’incisione diventa per De Marvchi jr strumento docile e malleabile per rappresentare mondi fantastici come nella serie “La città invisibile” tratta dall’omonima opera di Italo Calvino. I risultati ottenuti sono di grande effetto, a tratti sbalorditivi come “Diomira”, “Isidora” e “Zobeide”, sempre zinco sagomato, disegno a pennino e inchiostratura pouppe. Rendono con estrema semplicità caos e congestione metropolitani, l’impellente necessità di librarsi verso altri mondi.

La vasta produzione di De Macchi sr rientra in quel post-Illuminismo che tanto successo ottenne soprattutto nei primi decenni del ‘900 quando certe Avanguardie erano mal tollerate anche perché poco conosciute per il clima repressivo. Adagiarsi nel gran grembo della pittura di genere voleva dire per De Macchi sr ritrovare continuità con il passato, riproporre sottigliezze stilistiche e formali, riscoprire la luminosità e l’intensità di certe aperture tardo romantiche ma anche decadenti.

Le sculture di Lei sono grandi esempi di movimentazione esterno/interno della materia, di metamorfosi del substrato tanto autorevole nell’introiettare valenze esterne quanto perentorio nell’espellere un dinamismo interiore talora drammatico per misteriosi ma latenti contrasti. Non sappiamo e forse non sapremo mai se prevale l’ipotesi decostruttivista o quella ricombinatoria/costruttivista ma le opere di Lei – tutte in bronzo – sono sublimi dimostrazioni di torsione fisica e tensione etica, di contraddizione e superamento dell’esistente in senso surreale.

I dipinti di Remondini sfruttano geometrismo e purezza del colore ma sono anche una rievocazione – in controluce – dell’anima e delle nature morte morandiane. Al colore demanda il colpo d’occhio, lo scarto e il contrasto mentre la ripetitività l’irregolarità di talune figure sottolineano il valore oggettuale ereditato da certa eretica Pop Art. Ma coglie anche l’incisività di taluni archetipi, quasi Remondini puntasse ad attualizzare certa astrazione lavorando su alternanze di forme e colori.

         Fabio Bianchi