Dal 20 Maggio al 3 Giugno 2018 espongono

D’Alò Sonia, Franco Luigi e Vigna Claudio.

RECENSIONE

Mostrano profonde differenze stilistiche, tecniche e tematiche, ma alla fine i pittori Sonia D’Alò, Luigi Franco e Claudio Vigna si assomigliano e per certi aspetti sono complementari. Concepiscono infatti la pittura come strumento per ribadire un forte sentire interiore che, come in D’Alò, assume sfumature di rilievo e di evidenza sociale. In Franco certe proposte rimangono invece più elusive, non oltrepassano la dimensione del proprio “Io” rimandando ad un serrato dialogo fra sé e le suggestioni esterne. La creatività di Vigna conquista invece il mondo circostante, diventa occasione per recuperare storia e natura all’insegna di semplici – spesso però geniali – invenzioni e traduzioni artistiche.

D’ALO’. La lesione pittorica di D’Alò è assai incisiva, per l’originalità iconografica innanzitutto, ma anche per la profondità dei contenuti. In questo ciclo di opere – tutte a tecnica mista, formati medi, inserti di materici – centrale è il tema della donna, dell’emancipazione femminile in particolare. Indicativi i colori, anzi quasi sempre il monocolore nero risalta assai sul fondo bianco della tela ed è dominante in gran parte delle opere qui presentate. E che riflettono o il rigore dell’artista o le sue finalità etico-morali, sicuramente denotano una personalità forte e poco incline ai compromessi. Da un lato il nero con inserti e puntualizzazioni di rosso crea atmosfere un poco stridenti e che denotano la volontà di procedere in modo perentorio, non ossessivo, però forse un poco enigmatico. Dall’altro l’impostazione all’apparenza fumettistica induce invece a profonde riflessioni rimettendo al centro dell’attenzione un problema in Italia, in generale, sottovalutato. Emblematico “Sono stanca delle spine … Ora voglio le rose”, fanciulla incatenata in basso, in alto una rosa, quasi anelito ad un’ascesi catartica e liberatoria. Poi “Ciò che sembra esser ormai morto … rifiorisce a nuova vita, rinnovato, ringiovanito e rafforzato”, dittico ripreso anche nel logo (biglietto-invito in particolare) di questa mostra: parte sinistra vuota, a destra solo la parte superiore del volto di una fanciulla sovrastato da un fiore legato alla chioma e, infine, sopra il pensiero-title track. “Come aquile” ha una conturbante presenza, uno sguardo fisso, talora imbarazzante perché stimola a pensare, a riflettere sull’attuale situazione della donna non solo in Italia. “Il giardino che sono” ha una disarticolazione compositiva e strutturale davvero interessante: mani che tengono un volto, il tutto immerso in un fondo rosso in rilievo e si tratta forse dell’opera più forte – più indefinita al contempo – come ribellione e rilancio in chiave personale. “Siate consapevoli del vostro potere” è la visione forse più cruda, più realistica, non fosse che per una parte del volto percorsa da una scia rossastra, forse un rigurgito di sangue. “Cuore … consapevolezza … condivisione” sembra un excursus nell’organico e nel floreale, invece potrebbe essere la rappresentazione di una tensione interiore. Infine “Il coraggio di rinascere … Ancora una volta” è un invito, plateale comunque sincero, ad un cambiamento di stato.

Forse il suo contributo è attuale, in alcuni aspetti – soprattutto nei titoli – è fin troppo scontato e didascalico. Però è importante tenere alta la tensione sul dibattito in corso visti anche umiliazioni e colpi bassi inferti al gentil sesso in questi ultimi tempi.

FRANCO. I lavori di Franco sono assai significativo perché partono da una base classica e quasi accademica per poi contraddirla con l’uso soprattutto del colore. Ma anche di una percezione assai dilatata che diventa sensibilità anzi esprit de finesse portato a cogliere non il reale, invero la quintessenza del reale. Tratta molti generi e propone molti soggetti, raggiungendo in ognuno un’ottima sintesi espressiva cromatica ed atmosferica. Attento com’è ad accontentare gli ammiratori dell’arte sia post-impressionista che della flagrante attualità.

I vari generi trattati hanno una propria caratterizzazione: le nature morte ed i cesti di frutta sono quelli più vicini alla pittura di storia, all’esempio iconograficamente più consolidato. Viceversa le rappresentazioni ambientali sono quelle più aperte all’imprevisto, alla casualità, alla non definizione formale. In mezzo stanno i ritratti che, pur partendo da una concezione tradizionale, raggiungono una forte originalità grazie all’uso in alcuni casi disinvolto del colore, anzi delle macchie di colore. E proprio queste pennellate e questi grumi di colore sono l’aspetto più appariscente della produzione di Franco di questo periodo.

Perché Franco ripropone generi già visti e già sperimentati? Perché anche nell’ormai terzo decennio del terzo millennio non dobbiamo dimenticare la grande lezione della pittura. Se resa in un certo modo, fra colori sfumati ed ambientazioni vaghe ed indefinite. 

VIGNA. Difficile, anzi difficilissimo, dipingere con l’acquerello. E la cosa strana è che servono solo un foglio e colori diluiti ad acqua oltre che un pennello. E poi l’acquerellista deve superare il rivale-collega pittore cioè la sua arte deve colpire il visitatore o l’appassionato in modo diretto, fulminante. E le opere di Vigna testimoniano un personalissimo colpo d’occhio, in questo caso un empito simil-espressionista e quasi romantico, uno slancio mistico ed una raffinata irruenza. Le sue opere potrebbero essere inizio e fine dell’era figurativa, un ciclo dal valore riassuntivo sull’incidenza dell’immagine – diventata spesso non-immagine, quindi tanto più suggestiva – nella cultura attuale.

E l’analisi delle singole composizioni può solo arricchire l’assunto iniziale. “Senti la brezza nostromo. Siamo vicini al mare. Presto rivedremo la nostra nave …”: uno squarcio nello spazio-tempo di cielo e mare, un tuffo nell’infinito terrestre. “Aspettando il temporale 1”: qui Vigna rinnova un genere, la prospettiva, che abbandona l’impostazione geometrica per divenire palpito interiore. “Aspettando il temporale 2”: un’ombra nel cielo, l’attesa di una diversa contaminazione – solo elettrica, ambientale, in definitiva impalpabile – fra terra e cielo. “Ancora una milonga e saremo in rada …”: continua la metafora acqua-cielo-ambiente in un contesto di un azzurro alchemico, quasi magico, irreale comunque, dove anche la musica sembra colorarsi. “Stava lì, antica sentinella …”: fulminante omaggio ad un particolare “genius loci”. Ancora un omaggio ad uno sperduto angolo di mondo: “Mattina, tutto appare …”. “Nel mare … sera aspettando il tramonto” ci racconta invece del miracolo – poetico e colorato – dell’imbrunire. “Grande mare”: una canzone di Lucio Dalla recitava ad un certo punto ” … com’è profondo il mare …”, abbinamento perfetto per descrivere un sentimento di panica totalità. Infine “Il villaggio vicino al mare” è un esempio sublime del valore della trasparenza, ma anche di uno stile etereo ed orientaleggiante.

COMMENTO FINALE. Tre diversi approcci, tre diversi modo di intendere la pittura che dal piano e dalla proiezione sociale di D’Alò rientra nella sfera del sentimento con  Franco per poi ritornare in una profonda dimensione storico-naturalistica con agganci nel fantastico con Vigna.

Ma ci può essere anche un’altra chiave di lettura: dall’arte-denuncia di D’Alò passiamo all’arte come ispirazione della e dalla natura di Franco per concludersi infine nella spazialità poetica e letteraria di Vigna.

             Fabio Bianchi