Dal 22 Gennaio al 5 Febbraio 2017 espongono

Pecchia Lucia, Rege Cambrin Silvia e Sakalouskaya Maryna.

RECENSIONE

Sempre grandi artisti nelle collettive organizzate dalla galleria d’arte “La Spadarina”, strada Agazzana 14, Piacenza, del pittore Rosario Scrivano. Fino al 5 febbraio 2017 esporranno infatti le loro ultime opere le pittrici Lucia Pecchia, Silvia Rege Cambrin e Maryna Sakalouskaya.

Pecchia, pisana, è una personalità interessante non fosse che per la diversità e l’eccentricità delle sue opere, anzi delle tecniche usate. Svaria molto, sperimenta moltissimo, cambia spesso registri figurativi e rappresentativi, passa dall’Informale all’embrionalità figurativa per lanciarsi poi in tematiche organiche.

Nelle sue opere c’è una commistione di generi, di oggetti, quindi di sentimenti e stati d’animo che, alla lunga, si rivela assai produttiva. Anche perché i soggetti sono immersi in una dimensione all’apparenza senza profondità e senza tempo cioè senza sviluppo. Sembra fotografare non una realtà in movimento, piuttosto sequenze irrigidite e temporalizzate, neanche fossero constatazioni dei gravi problemi che attanagliano la nostra realtà. Parte dalla semplicità (La luce spacca le tenebre), conquista sempre più sicurezza (La luce invade le tenebre) per poi stagliarsi verso l’infinito (Gli uomini verso la luce). In mezzo c’è la percezione di una realtà assai complicata, di una vita da vivere o in estrema semplicità cioè in comunione con noi stessi (Il sole; Il mare). Oppure alla ricerca di spiritualità (L’incontro fra la terra e il cielo) e di sentimenti forti e ben definiti (Strada verso la luce) oppure di puro romanticismo (Luna in cielo sereno con filo di luce). Non dimentica la storia (Fiori), il mondo degli animali (Cavallo 1) e nemmeno la dimensione psicologico-descrittiva (Bagno paradiso). Oppure quella poetica (Ombra in bicicletta) sempre affidando alla diversificazione tecnica altri spunti notevoli (Luna in superstrada; Passeggiata al mare).

La torinese Rege Cambrin vira invece verso l’Iperrealismo. Cosa può dirci oggi questa tendenza? Che la grande pittura, per reggere il confronto con la grande storia dell’arte, deve continuare certe illustri tradizioni. L’Iperrealismo americano degli anni ’60 non è passato invano, non è stato un incidente di percorso. Ha soltanto ribadito – rilanciato cioè in altro contesto – il valore tecnico e stilistico di certa sublime pittura, italiana ma anche europea. Rege Cambrin prosegue quel percorso, ci ricorda che figurazione e oggettività hanno ancora un senso nella “società liquida” del XX e XXI secolo. I suoi soggetti hanno medesima intensità, registro espressivo simile, sfumature e sensibilità coloristiche uguali a composizioni di secoli passati.

I suoi fiori evocano non solo l’effigie ma anche lo spirito degli “still life”, lo sfondo nero accentua poi teatralità e artificiosità dell’impianto. La sua pittura floreale – anche la percezione che ne abbiamo noi – è allora un potente catalizzatore culturale, uno strumento magnifico per far rivivere un universo espressivo potente.

Lo stesso accade con i dipinti ritraenti oggetti, più vicini alla caratterizzazione fattuale e simbolica, dove tutto diventa sublimazione della realtà. Per certi aspetti diventa uno psicologismo sottile e straordinariamente efficace per le valenze non solo pittoriche.

Ma è con e nelle figure che Rege Cambrin ottiene gli effetti maggiori, che la sua arte viene consacrata e – fra le righe – ci dice che la pittura è un sogno da coltivare, obbligatoriamente. Le sue fanciulle rivitalizzano i fasti barocchi, ma anche lo spirito irriverente e beffardo di certo Impressionismo. Soprattutto riprendono l’allegro e sulfureo fascino delle Belle Epoque quando colore e forma erano la voluttuosa trascrizione di ideali e idoli di una società ormai lanciata verso un avveniristico progresso.

La pittura sinuosa, arabescata e un poco orientaleggiante della bergamasca Sakalouskaya è assai affascinante, assomiglia ad un sogno visivo. Sakalouskaya dimostra come un artista, oggi, possa conquistare – alla lunga padroneggiare – nuovi campi espressivi anche usando mezzi e strumenti tradizionali, nel suo caso tecnica mista su tela. L’Informale le permette di indagare il limite dell’applicabilità del colore, aranciato e rossastro in quest’occasione in una facies poetica e onirica dalle sfumature tonali e dalla liquidità dei toni.

Qui le tele di ambito informale ricercano un’unità segnica e primordiale, affondano le radici nel non detto e nel non visto. Soprattutto in  un  magma denso che diventa metafora del fluire in prima istanza della nostra vita, ma in seconda battuta sono una resa grafica di valore assoluto sulla nostra società sempre più uniforme, forse spiraliforme, comunque indifferenziata.

Anche la figura trova – forse ritrova – dignità storica ed espressiva, subordinata però ad un contorno floreale dove addirittura è facile perdersi. Proprio il volto profilato dimostra la vitalità e la sicurezza grafica della pittrice, ma anche la sua padronanza tecnico-stilistica. Il volto è proiettato su uno sfondo azzurro, un cielo all’apparenza, ma la circostante decorazione floreale che innerva e relativizza il volto stesso ci dice che la pittura oggi è un’attività subordinata ad altre vicissitudini, sia terrestri che celesti. E ribadisce che la pittura ha perso certa olimpica serenità, ha smarrito certa perentorietà formale, ha eliminato la centralità della persona.  

              Fabio Bianchi