Dal 26 Novembre al 10 Dicembre 2017 espongono

Casetta Alessandra, Facco Gianfranco e Granati Mario.

RECENSIONE

Difficile allestire collettive d’arte oggi, in un contesto sempre più complesso e variegato. Ma Rosario Scrivano, titolare della galleria “La Spadarina”, strada Agazzana 14, Piacenza, è in questo bravissimo. E lo dimostra l’abbinamento dei pittori Alessandra Casetta di Alessandria, Gianfranco Facco di Milano e Mario Granati di Rieti, protagonisti di una collettiva visibile fino al 10 dicembre 2017.

Casetta in tele in gran parte a colori acrilici, alcune anche ad olio, dall’aura e dall’impostazione tradizionali, ci racconta una bellissima avventura artistica. Ma soprattutto esistenziale perché in lei arte e pittura coincidono in una ricerca storica e conoscitiva che, dal piano teorico, immediatamente trapassa in quello quotidiano. Sicché l’arte diventa fattore di analisi, di crescita e di indagine che unisce varie dimensioni anzi varie scuole e varie tendenze. C’è sempre uno spunto accademico nelle sue raffinate tele, ma Casetta sovente lo supera in senso dinamico ed espressivo. La forza di Casetta è nella proiezione nell’attualità, nel rapportare certe gloriose raffigurazioni alle esigenze e soprattutto alle aspettative attuali. Che via via sono innanzitutto figurative, quindi rappresentative, poi illusionistiche e infine simboliche. E proprio su questi quattro aspetti si gioca gran parte della creatività di Casetta. La grande e la piccola scala presenti nei suoi dipinti servono a questo cioè ad avvicinare passato e presente quindi futuro fra temi e tematiche di epoche diverse. Capaci però, se abilmente accentuate come sta facendo Casetta, di arricchire l’uomo contemporaneo. C’è un preciso percorso anche nell’ambito delle opere qui esposte: dai vasi (Amazzoni; Natura viva) alle nature morte (Beauty; Fruit of the loom) a certi ritratti (Nefer; L’orecchino di perla) siamo in area figurativa (Jumbo). Le marine (Sea’s melody) hanno invece una finalità rappresentativa mentre i trompe l’oeil sono pertinenti all’illusionismo (Incantesimo; Vista su giardino di casa palladiana). Infine, forse la più importante e la più sentita, spunta la sfera religiosa e più propriamente simbolica (E luce fu; In memoria di me).

Facco privilegia invece il colore e la gestualità in tele ad olio che ci immergono in una dimensione tardo-impressionista che diventa espressionismo astratto e per certi aspetti anche simbolico. All’apparenza Facco sembra semplificare e ridurre tutto alla forza ed all’intensità cromatica, però vediamo che alcune sue opere (Autoritratto) sono profondamente consapevoli dell’incidenza di certi impressionisti (Monet su tutti) sulla storia dell’arte contemporanea. Non dimentichiamo l’Espressionismo nordico, quello di Munch soprattutto, ma anche quello di Ensor che individuavano nel colore un elemento di contatto e/o di contrasto con l’ambiente circostante. Non sappiano fino a che punto sia riproponibile il retaggio dei grandi pittori e dei grandi movimenti sopra menzionati. Però alla luce soprattutto di certa “Street Art”, “Graffiti Art” e della cultura “Underground” della scena newyorchese anni Ottanta e Novanta, la pittura di Facco acquista una flagrante attualità. Non scordiamo l’incidenza di certi movimenti italiani, la “Transavanguardia” in particolare, che aveva sdoganato colore e libertà espressiva. Facco allora può essere o diventare un romantico precursore o, viceversa, un nostalgico idealista di quelle problematiche concezioni artistiche. Ha una grande coerenza espressiva ed una forza ispirativa notevole che lo spingono a rappresentare vari aspetti della realtà con identica intensità emotiva. E soprattutto con identica tecnica capace di unire un minimalismo estremo (Kristal; Hisper; Le sette lune, parte seconda) a concezioni ben più impegnative (I numeri della vita; Le anime della notte; XX secolo). Permane l’aspetto descrittivo (Lo sguardo; Il villaggio; Intenso blu) funzionale però ad esprimere un vissuto interiore denso di sentimenti e di profondi stati d’animo (Il grande Spirito; La rinascita; Il primo punto).   

Infine in Granati spiccano, in modo superlativo e per nulla replicabile, la vitalità e il dinamismo cromatico, ma la sua arte non è solo questo. Emergono con icastica evidenza varietà e contrasti di una realtà incomprensibilmente fantasmagorica, ma c’è dell’altro. E soprattutto colpiscono quel senso poetico dello spazio che da bidimensionale diventa – per un susseguirsi di magiche suggestioni – tridimensionale.  C’è nella sua arte eccentrica e sognatrice un procedere disordinatamente creativo alla ricerca non di certezze, ma dell’ineffabile segreto di certa poesia visiva. C’è in lontananza Kandinskij, c’è anche l’Espressionismo astratto europeo e c’è pure una traccia di astratto-informale italiano recente. Ma Granati sa rendere benissimo vita e colori, visioni e stati d’animo, sa miscelare ricordi e sensazioni, movimenti e affabulazione fantastica. Perché la vita – secondo Granati – deve essere vissuta in senso magico e surreale, fuori dagli schemi, fedele soltanto all’impertinente malia cromatica e all’irrealtà di certi flash interiori. Perché l’arte è sogno, racconto, un universo interiore in totale contrasto con la contraddittoria realtà quotidiana. Anzi, sembra dirci Granati, più la realtà è spigolosa, più le sue composizioni sono screziate e forzate in senso addirittura trascendente.      

BILANCIO FINALE.

Anche in questa occasione Scrivano si diletta a mostrarci tre fra i principali indirizzi artistici di questi anni di transizione. Casetta dimostra la forza e la proponibilità dell’universo tradizionale, storico-accademico se vogliamo, ma elegante e classico al contempo. Facco rappresenta la modernità e l’aggancio con istanze novecentesche che ha saputo sapientemente elaborare ed attualizzare “sbirciando” sia Oltreoceano sia nel patrimonio italiano. Granati è invece la pittura futura o futuribile, senza tempo, senza luogo, senza spazio, un esercizio stilistico grandioso ed onnicomprensivo perché in grado di sintetizzare tutto, dal colore al disegno, dalla tecnica alla profondità e altro ancora. 

             Fabio Bianchi