Dal 27 Aprile al 12 Maggio 2013 espongono

Buffa Giorgio, Dilevrano Anna Maria, Sassi Maria Pia e Serenari Martina.

RECENSIONE

Difficile per un gallerista assemblare una collettiva con artisti affermati a livello nazionale per la disparità di linguaggi emergenti nel panorama italiano. Ma Rosario Scrivano, titolare della galleria “La Spadarina”, ci riesce sempre con abilità e discrezione. Come dimostra la collettiva che, fino al prossimo 12 maggio, riunisce l’ultima produzione dei pittori Giorgio Buffa, Anna Maria Maddalena Dilevrano in arte “MàgdalaDì”, Maria Pia Sassi e della scultrice Martina Serenari.

Il torinese Buffa è un mago dell’acquerello: in questo genere prevalgono di solito le vaste campiture, trascinamenti e velature, talora larghe volute. Ma la sua padronanza dell’acquerello è tale che si può permettere qualsiasi approccio. E, incredibile, siamo così di fronte ad un acquerellista-naif, uno strano accostamento per ribadire la sensibilità e il tatto di Buffa. Anzi a tratti sembra un seguace di Seurat, del glorioso Pointillisme ma anche un prosecutore sicuro del nostro luccicante Divisionismo. I suoi soggetti? Tutti paesaggi, romantici, bellissimi, forse fotografici ma accattivanti.

Dilevrano, bolognese, propone invece una pittura nostalgicamente sospesa tra un erudito arcaismo e un’accentuazione onirica. Le ultime opere, tutte olio su tela, derivano infatti da un report in Turchia e l’incontro con reminiscenze classiche l’ha spinta a reinventare divinità e semidei nella pagana riscoperta di una mitica sensualità. MàgdalaDì non dimentica la passione per i ritratti ad acquerelli che rappresentano un erudito divertissment, un modo per non trascurare la fisionomica e soprattutto la centralità del volto sempre più ordinatore di emozioni e di sentimenti. 

Sassi, anch’ella torinese, ha sempre optato per un Informale vibrante, denso, a tratti fiammeggiante che all’occorrenza può controllare e/o limitare solo con la robustezza della piatta spatola. Nel suo intreccio di colori e di movimenti c’è tutto un mondo, anzi c’è la sintesi dell’attimo fuggente poiché Sassi riesce a ridurre a quel vivace Informale ogni espressione e/o circostanza della nostra vita. Le sue opere non fotografano la realtà, non rispecchiano nessun dramma interiore, non contestano e non assolvono, solo riflettono sulle inedite e multiformi declinazioni dell’Informale.

Infine le sculture della livornese Serenari sono una piccola/grande lezione di precisione, di realismo e soprattutto virtuosismo: sono, infatti, bronzi di dimensioni contenute ma sono un concentrato di energia e di tensione. I soggetti sono quasi un tributo a certa illustre tradizione popolare quasi a rimarcare la vicinanza tra ispirazione e realizzazione. Serenari però lavora benissimo anche il marmo e lo dimostra in alcune ispirate composizioni. Quindi una sorpresa: “Incubo”, opera lignea eccentrica e visionaria che rafforza infinitamente il carisma dell’autrice.                   

             Fabio Bianchi