Dal 7 al 21 Febbraio 2016 espongono

Giussani Lino, Maiorelli Fabrizio, Renzi Eufemia e Tornambè Luca.

RECENSIONE

Ennesima interessante e variegata collettiva d’arte alla galleria “La Spadarina” di Rosario Scrivano: fino al 21 febbraio saranno esposte le ultime opere di Lino Giussani (Milano), Fabrizio Maiorelli (Firenze) e Luca Tornambè (Palermo).

Giussani è una graditissima sorpresa: è infatti un artista che produce tarsie lignee come se ne vedono poche oggi. Le sue raffinatissime composizioni denotano un’abilità manuale oggi ormai rara, anzi rarissima sia fuori che dentro le accademie. Ma anche una concezione pittorica del suo lavoro, uno sconfinamento disciplinare e pure semantico che altro non ottiene che arricchire enormemente l’arte. Le tessere-tarsie di Giussani diventano allora medium privilegiato per dialogare da un lato con la materia, con il mondo esterno dall’altro. La materia da opaca e inerte diventa allora pagina sontuosa, figurazione solenne che ben si inserisce in altri strumenti artistico-conoscitivi. La tarsia sublima la pittura ma esalta anche la bidimensionalità del piano laddove terminano i nostri sguardi ma dove spesso iniziano i nostri sogni. Le tarsie di Giussani coniugano esemplarmente istanze scultoree e pittoriche, dimostrano come la scultura – da occupazione armonica dello e nello spazio – sussuma la profondità e la suggestione del disegno e del colore proprie della disciplina pittorica.

Maiorelli ci dimostra quanto sia bello e nobile scolpire e animare la materia cioè perpetuare un’arte o forse un mestiere glorioso che da secoli è in gran parte immutato. Legno e pietra soprattutto cioè i substrati da Maiorelli lavorati con passione e dedizione estreme, sono un legame ancestrale con la natura. Forse l’ultimo che possiede l’uomo contemporaneo, ormai proiettato con la sua panoplia high-tech in un universo virtuale. Gli scultori hanno qualcosa in più rispetto altri creativi: sono tenaci oltremisura e pensano in modo tridimensionale. Ecco allora spiegato il perché anche qui di opere intriganti che intersecano la storia civile e militare (L’alpino), la religione (Genesi; Passione di Cristo) ma anche l’anatomia esterna (Mano) o, per così dire, quella “interna” (Anima). Ma ci sono anche romantici tributi a bellezza muliebre (La ragazza del sole), a monumentalità architettonica (Ponte di Cimabue; Palazzo dei Vicari) o all’essenza della femminilità (Supremazia femminea). Maiorelli continua allora un mito, perpetua una tradizione, risale il passato per conquistare il futuro.

Le opere di Tornambè sono invece un riflesso – anche un leggiadro approfondimento – della cultura underground soprattutto americana, di quei border-line che hanno movimentato la recente figuratività stelle e strisce e non solo. Come quelli utilizza un linguaggio alternativo, un’espressività forte quando non trasgressiva o apertamente anticonformista. I suoi volti hanno la rigidezza e la spigolosità ma anche la vivacità cromatica dei graffitari, sono un misto di sacralità e spaesamento metropolitano. Certi tavole sono poi sospese tra Espressionismo e Simbolismo: i volti delle persone sono anonimi ma tanto più incisivi. C’è, neanche tanto latente, la ripresa di certo gusto per il “primitivo” oggi intrigante come non mai per la concreta apertura verso radicali alternative. Anche la natura rientra nel sistema rappresentativo di Tornambè: è un ambiente sovraccarico di forme e colori, sempre comunque eccedente il consueto e vivibile limite. I presupposti ci sono tutti per raggiungere una vera alternativa al sistema attuale, per superare l’anarchia verso un solido equilibrio.

                      Fabio Bianchi